In occasione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne che ricorre il 25 novembre, vi segnaliamo nuovamente questa sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha condannato l’Italia per non aver adeguatamente protetto la donna dalla violenza domestica.
Mancato rispetto del diritto al rispetto della vita privata:
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con la sentenza del 10 novembre 2022 nel caso I.M. contro Italia, ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che riguarda il diritto al rispetto della vita privata e familiare. La condanna è stata emessa a causa dell’inadeguatezza dello Stato nel proteggere la ricorrente e i suoi figli minorenni dai maltrattamenti del padre, in particolare durante gli incontri organizzati, e per l’errata decisione dei giudici interni di sospendere la genitorialità della madre.
Contesto della violazione: La ricorrente era fuggita con i figli da casa a causa delle violenze subite. Nonostante le denunce e le prove disponibili, la Corte ha ritenuto che le autorità italiane non avessero adottato misure sufficienti per proteggere la famiglia, non tenendo conto della gravità della violenza domestica.
Dovere di protezione dello Stato: La CEDU ha sottolineato l’obbligo positivo dello Stato di proteggere la vita privata e familiare, garantendo un giusto equilibrio tra l’interesse del minore e le esigenze della famiglia.
Inadeguatezza delle autorità interne: La Corte ha criticato i ritardi e le omissioni delle autorità italiane, in particolare dei giudici civili, che hanno sospeso la responsabilità genitoriale della madre perché ostile agli incontri, nonostante le preoccupazioni per la sua sicurezza a causa degli abusi subiti.
Conseguenze: La violazione ha comportato una condanna per l’Italia, che dovrà pagare una somma a titolo di risarcimento per il danno morale alla vittima.
In sostanza la Corte ha rilevato l’inerzia delle autorità, la mancanza di un’indagine tempestiva e l’incapacità di contrastare stereotipi e pregiudizi che portano alla “vittimizzazione secondaria” e per la prima volta evidenzia quanto sia fondamentale che le autorità giudiziarie e le forze dell’ordine superino i pregiudizi di genere e le “minimizzazioni” dei casi di violenza.