L’introduzione di tale nuovo reato si inserisce coerentemente nel quadro dei principi costituzionali di uguaglianza sostanziale e dei trattati internazionali (come la Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, contro le violenze di genere). L’Italia si avvicina così ad altri paesi europei e latinoamericani, come Spagna, Messico e Cile, che hanno già tipizzato penalmente il femminicidio. Il principio di legalità, sancito dall’art. 25 della Costituzione, trova piena applicazione nella definizione puntuale del reato e della pena, con l’ergastolo come condanna minima. La scelta di una pena così severa riflette la gravità del movente e il desiderio di affermare con fermezza la condanna sociale e giuridica di ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne.
Con l’introduzione del nuovo articolo 577-bis nel codice penale, la legge definisce formalmente il reato di femminicidio, punendo con l’ergastolo chiunque cagioni la morte di una donna “in quanto donna”. La norma specifica che il movente deve essere riconducibile a discriminazione, odio di genere o a tentativi di reprimere diritti, libertà o personalità della vittima. Questa distinzione è rilevante, poiché permette di differenziare il femminicidio dall’omicidio generico, focalizzandosi sulla motivazione che rende l’atto particolarmente grave e socialmente riprovevole. La normativa si amplia ulteriormente estendendo le aggravanti a una serie di reati collegati alla violenza di genere, come maltrattamenti, stalking, minacce, revenge porn e violenza domestica. Viene riconosciuto inoltre come movente tipico il rifiuto da parte della donna a mantenere o instaurare un rapporto affettivo, spesso alla base di episodi estremi e drammatici.
L’approccio innovativo della legge non si limita alla pena, ma si articola anche in forme di tutela e sostegno alle vittime e ai loro familiari. Sono infatti previste azioni di assistenza psicologica, programmi di formazione e campagne di sensibilizzazione rivolte a scuole, forze dell’ordine, operatori sanitari e magistratura.
Nonostante gli aspetti positivi, la riforma presenta alcune criticità, tra cui la complessità nel dimostrare che un omicidio sia stato commesso “in quanto donna”. La prova del movente di genere richiede accertamenti soggettivi e l’individuazione di indizi concreti di odio, controllo o disprezzo, che rischiano di rendere difficile l’applicazione uniforme della legge. Inoltre, si evidenzia il rischio di sovrapposizioni con l’omicidio aggravato, specie quando si verificano circostanze già previste dal codice penale.
Alla luce di quanto sopra l’efficacia delle nuove disposizioni normative, dipenderanno dalla capacità di tutto il sistema giuridico e sociale di garantire interventi tempestivi, risorse adeguate e programmi di prevenzione. Solo attraverso un approccio integrato, che combini diritto, cultura e politiche sociali, sarà possibile ridurre concretamente il fenomeno dei femminicidi e promuovere una società più equa e rispettosa dei diritti delle donne.